Quando si incontra una persona che cerca, si rimanda il momento della rinuncia.
Peter Høeg , I quasi adatti (1993)
"LE CITAZIONI SONO PREDONI ARMATI CHE BALZANO FUORI D'IMPROVVISO PER DERUBARE IL PASSANTE DELLE SUE CONVINZIONI" W. BENJAMIN
Quando si incontra una persona che cerca, si rimanda il momento della rinuncia.
Peter Høeg , I quasi adatti (1993)
"E finalmente la voce. La voce materna che segna per sempre col suo marchio il bambino. Egli la conosce, questa voce, molto prima di vedere la luce. È come tessuto sul suo ordito, sulle sue sfumature, le sue inflessioni, i suoi umori."
(Frédérick Leboyer)
Incontro su STORIE NATURALI di PRIMO LEVI: https://fb.watch/xdPxcbvUP6/
Quando leggiamo un racconto lo abitiamo. La copertina di un libro somiglia a un tetto e a quattro pareti. Quel che sta per succedere avverrà entro i quattro muri del racconto. Nel leggere un romanzo ci identifichiamo con un personaggio. Nella poesia, ci identifichiamo con la lingua stessa.
John Berger, Presentarsi all’appuntamento. Narrare le immagini.
Mario Benedetti dice del suo romanzo "Impalcature" (Nottetempo '19) che non è un romanzo vero e proprio ma un "sistema di impalcature". E' il romanzo del ritorno; ma
"l'esule che rientra non si trova di fronte a un aggregato sociale nè a un paese ufficiale o ufficioso, ma al proprio paese personale, quello che si portava dentro e lo attendeva fuori"
Di qui il confronto sui continui cambiamenti esterni ed interni. Anche la democrazia è
"un regime in perenne costruzione, il cui edificio non sarà mai terminato."
Ecco l'importanza delle IMPALCATURE
Il luogo in cui si torna è sempre un altro
La gare a cui si torna è un'altra,
Non c'è più la stessa gente nè la stessa luce,
nè la stessa filosofia.
Fernando Pessoa
(Forse consola, pensare di essere delle impalcature. A volte velate, o dipinte; o rozze e nude. Ma sempre fatte di pali, di passatoie, di assi. Sempre in tensione verso l'alto, ma con la paura di crollare. Sempre al posto di. Sempre teatro.)
Il teatro è la casa dei fantasmi, dice Fabrizio Gifuni. E pensa al padre di Amleto, a Banco in Macbeth, ma anche a Moro e a Pasolini, che "non hanno avuto degna sepoltura."
Bella, la mattina del 27 dicembre, quando, chiuse le feste, ci si può perdere a scoprire questo quadro di Carpaccio, Le due dame. E tutto partendo da un commento di Cristina Campo.
"Ancora un’opera perfetta ottenuta per contrari… Sulla leggiadra terrazza ogni forma di bellezza è raccolta, come in un’immagine araldica: i fiori, i cagnolini, le bianche tortore domestiche, i pavoni dalle code preziose, i melograni più ardenti del rubino. L’aria è calmissima, quasi bronzea nello spessore profondo dell’azzurro. È l’ora immobile, profondamente bella, che si vorrebbe arrestare. E «A che serve?» sembrano gridare in silenzio i due sguardi fissi, di una mitezza senza centro, perduta, i due vuoti e puri profili, uguali come due cose uguali, come due minerali in un trattato, due piante acquatiche: robuste e prigioniere."(Cristina Campo, "Parco dei cervi", in Gli imperdonabili)
https://www.visitmuve.it/it/galleria-delle-opere/vittore-carpaccio-due-dame-veneziane/
"Quando uno è giovane, ha davanti a sè l'evoluzione intera, con tutte le vie aperte, e nello stesso tempo può godersi il fatto di essere lì sullo scoglio, polpa di mollusco piatta e umida e beata."
Italo Calvino, "La spirale", ultimo racconto de Le cosmicomiche, Einaudi
(grazie a una suggestione di Domenico Scarpa)
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per i bambini che sono
nostre divinità domestiche""Trasudando e gemendo, la grande macchina del mondo si avvia alla propria distruzione. Tutti gli uomini sono degli apprendisti suicidi. C'è chi indugia il passo fatale: fluttua, si dimentica. E chi, invece, vede nelle cose una "giustapposizione di polvere": ad ogni colpo blasfemo di clacson, già ascolta la tromba del Giudizio. Costui divide in vita la compagnia dei morti, dei non nati, dei misti di vita e di morte; e annota "gli scricchi compitati dai sassi, le smozzicate ragioni degli insetti le confessioni dei vegetali agonizzanti".
Giorgio Manganelli, testo inedito nato come presentazione di Hilarotragoedia, 1964
Ora che anche Gianni Celati se ne è andato, mi risuona una strana consonanza. Ripeto tra me il finale di "Verso la foce"
Se voglio troppo, non darmi niente.
Dammi una faccia allegra solamente.
(Gianni Rodari, Filastrocca di Capodanno)
Dal nove gennaio al 13 dicembre il tempo è stato un cucchiaio. Ha raccolto idee e fatti, gioie, privazioni. Li ha tenuti nella sua curva, come una mano piegata, un cono d'ombra. li ha mescolati e lasciati cadere nel fondo. Li ha salvati. Stanno lì. dentro il loro brodo. Mi affaccio al mio cucchiaio e oggi mi dico ANDIAMO AVANTI.
Per iniziare un laboratorio di scrittura a scuola con l'immancabile "Mi piace non mi piace" prendo fuori il mio "Barthes di Roland Barthes". Ci trovo il cartellino azzurro del mio letto d'ospedale a Parigi, 1982. Ripercorro il volume e la luce che emana è ancora folgorante, forse più acuta e più calda di allora. Trovo tante sottolineature che ricalcherei, trovo nuovi punti in cui soffermarmi. Scopro (non me ne ricordavo) che la traduzione è di Gianni Celati. Lo percorro in un misto di struggimento ed esaltazione e non lo ripongo, ma lo appoggio sul tavolino sopra agli "Esercizi di fantasia" di Gianni Rodari comprati da poco. Mi diverte questo s/composto binomio fantastico.
“Noi sappiamo che c’è la poesia. Noi sappiamo che c’è la morte. Loro possono soltanto accettarle per sentito dire. Noi sappiamo che questa è la nostra casa, perché c’è la nostra atmosfera. Oh, loro possono prendersi gli atti di proprietà e le chiavi, ma per questa unica notte noi siamo a casa”.
88 Una vecchina in autobus sorride (quasi in anticipo) appena scorge un bambino; se parla, esplode in "caro", "bravo", eccetera. L'idea di un meccanismo, di un riflesso